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13/09/16

Salto d'ottava - l'ebook


È finalmente on-line la versione ebook anche di Salto d'ottava, il mio secondo romanzo, pubblicato nel 2010 nella collana Babele Suite di Perdisa Pop, diretta da Luigi Bernardi.


Chi fosse interessato può trovarla qui.

18/12/12

Interviste credibili: Antonio Paolacci




[Gianni Montieri intervista Antonio Paolacci per Poetarum Silva]


Ciao Antonio, come ci si sente a ritrovarsi con un terremoto sotto il culo?
Più o meno come il personaggio di John Travolta nella scena di Pulp Fiction in cui esce dal gabinetto e c’è Bruce Willis. Ciao Gianni.

Bologna (la città in cui vivi) com’è in questi anni? Com’è cambiata? Cosa le è rimasto addosso di quel fascino che la rendeva (a seconda dei casi) “la dotta” “la viva” “la saggia” (questa me l’ha detta un amico anni fa)?
Ho idea che anche in questa intervista sembrerò uno che non vede l’ora di lamentarsi. Molto bene. La risposta è: assai poco. Di dotto e saggio a Bologna è rimasto un solido ricordo e poco più, però diciamo che a suo favore ha la scusa di essere in compagnia di tutta l’Italia.

Quando ti arriva sul tavolo un manoscritto qual è la prima cosa che fai o che pensi, prima di cominciare a leggerlo?
Prima lo giudico dall’aspetto. Per quanto possa sembrare ingiusto, non lo è: la mediocrità di certi lavori si capisce da come sono presentati. C’è chi perde tempo in copertine sceme, disegni da scuola elementare, impaginazioni estrose, ecc. Poi ci sono le lettere di presentazione dalle quali si capisce che gli autori sono spesso vittime di equivoci e luoghi comuni sulla scrittura e l’editoria. In ogni caso, quando poi mi metto a leggere, quello che di solito penso è la nota frase: «Il cucchiaio non esiste».

Dal 2011 sei il Direttore di Perdisa Pop, quanto è divertente e quanto è difficile?
Difficile è fare questo mestiere per chiunque, negli ultimi anni, perché occorre combattere con soggetti esterni alle case editrici, persone che decidono troppo e con criteri discutibili. Parlo di chi ha il potere di dare visibilità ai libri, dai giornali ai premi letterari, dai distributori ai librai, i quali dettano spesso legge – o ci provano – perfino nei nostri piani editoriali, consigliando per esempio un certo cerchiobottismo, dal momento che trovano saggio accontentare un po’ tutti e non offendere nessuno. E io sono pessimo, nel cerchiobottismo. Però posso dire che ho imparato ad affrontare diverse difficoltà a modo mio, riuscendo a portare avanti quello che credo sia giusto senza accettare troppi compromessi. Ecco, di divertente c’è quest’ultima cosa, tra le altre che credo siano più intuibili.

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: David Foster Wallace.
Tutto? Per carità, facciamo che ti dico solo una cosa piccola e un po’ personale, altrimenti non riuscirò mai a finire questa intervista. Penso che il suo modo di intendere e vivere la scrittura fosse esemplare. Credo sia anche per questo che nel leggerlo si sentono il potere e il piacere della migliore letteratura, al di là di ogni faccenda teorica, stilistica o tematica. Non perdeva mai di vista il fatto che osservare e raccontare il mondo con attenzione, ma anche con la consapevolezza di quanto sia facile sbagliare, è più che la base di un mestiere, è il punto di partenza di tutte le nostre azioni, quindi è concretamente più importante di ogni altra cosa. Wallace è uno dei pochi, pochissimi, scrittori che nei momenti di sconforto riescono a ricordarmi perché ho scelto di scrivere. La mia ammirazione non c’entra con il fanatismo e tanto meno con l’emulazione. C’entra semmai con la gratitudine.

Una cosa che ti viene in mente se ti dico: Luigi Bernardi.
Senza dubbio il fatto che da ragazzino io ho passato una lunga, bellissima giornata con Michel Platini, e lui no. (Questa la pagherò con un sonoro vaffanculo.)

Ma davvero a Bologna state sempre a mangiare?
Guarda. A Bologna non sanno fare i dolci, per non parlare del pane. Bisogna che questo si sappia.

Parliamo di e-book, il tuo ultimo libro “Tanatosi” è uscito soltanto in formato elettronico, seguito da altri tre titoli (di Domenichini, Naspini e Bernardi), è molto più di una scelta di campo.
È insieme un progetto, un esperimento e una provocazione. Proporre certi autori italiani ai lettori italiani come si è sempre fatto, oggi sembra una specie di impresa, ostacolata da distributori, giornali, librerie… In un momento come questo può valere la pena fermarsi un attimo e fare un passo indietro per osservare il panorama in prospettiva. E magari porsi delle domande basilari, per esempio su cosa siano per noi la lettura, la scrittura, la letteratura, su quanto pensiamo che possa durare nel tempo il singolo libro, su cosa ci aspettiamo che ci dia in cambio dei soldi o del lavoro che ci chiede. Che peso gli diamo in generale, insomma. E in questo “noi” includo tutti: lettori, scrittori, editori, critici, distributori e librai. Gli ebook sono ancora una specie di mostro, nell’immaginario di molti. Ma ideare questa collana e farla partire con un titolo mio nel 2012 è stata una di quelle idee che vengono in un lampo e quadrano da subito. Per intenderci: credo che Tanatosi sia uno dei miei scritti migliori, se non il migliore in assoluto, e se fino a oggi è anche quello che ha venduto meno, non mi importa. Sapevo che sarebbe andata così. Il punto è che è là, disponibile in pochi minuti e a pochi euro, per chiunque abbia accesso a internet e voglia di leggerlo.

Ti ho conosciuto come scrittore, qualche anno fa, guardando il catalogo di Perdisa Pop, scelsi il tuo libro “Salto d’ottava” perché mi piaceva il titolo (ebbene commetto ancora simili peccati, perché tu no?) poi mi è piaciuto pure il libro, lo stile e quel misto di realismo e visionarietà. Mi piacque sia la storia che lo stile, non ho ancora letto “Tanatosi” (perché ho rimandato l’acquisto dell’E-reader, vabbè a Natale arriva) ma tutti me ne parlano in maniera entusiasta, mi dici due parole sulla storia?
È la storia più lineare che abbia scritto finora. Di solito cerco la frantumazione, gli spostamenti, disegnando percorsi più mentali che cronologici. In questo caso volevo raccontare qualcosa di molto preciso, strettamente legato al nostro tempo in relazione al passato e a un possibile futuro, e la linearità mi è sembrata la scelta migliore. Ma è anche il lavoro in cui, per la prima volta, ho immaginato una realtà diversa dalla nostra. Quando il contesto in cui siamo è raccontato fin troppo, e spesso male, la scrittura può mostrarlo forse meglio allontanandosene. Al momento questo mi interessa particolarmente. Anche il romanzo che sto scrivendo viaggia nella stessa direzione.

Pensando all’editoria di adesso, guardando da spettatore esterno, mi pare di non capirci molto, da dentro com’è? Cosa cavolo stanno combinando?
Nell’ultimo anno, in alcune interviste e interventi, ho cercato più volte di spiegare quello che sta succedendo dal punto di vista tecnico: modifiche nocive al sistema distributivo e della vendita, nascita di un monopolio di tipo aziendale, strategie di marketing, faziosità di critica letteraria e informazione. Come sai, è un discorso complicato e difficile da sintetizzare, ma in effetti è anche un po’ limitativo, perché a forza di parlare di questioni specifiche, come la visibilità dei libri e il sistema distributivo, rischiamo di perdere il quadro generale. Anzi, gli stessi libri sono solo un dettaglio, per quanto importantissimo, di un contesto culturale gestito male, dove la qualità e la passione sono considerati interessi di nicchia, questioni di secondo piano. Musica, cinema, teatro: in Italia c’è una seria crisi di contenuti, non solo economica. Mancano le competenze nella scelta, perché spesso a decidere sono le persone sbagliate. Il guaio è che ciò che racconta il telefilm Boris, per intenderci, a proposito della tivù, sta succedendo anche all’editoria. E paragono il libro all’intrattenimento televisivo proprio per non dare l’impressione di voler difendere soltanto la letteratura alta o quella che capiscono in pochi. Lasciamo perdere il capolavoro e il mito del genio incompreso: questo Paese è pieno di professionisti sconosciuti che saprebbero fare musica, film e spettacoli molto meglio di quelli che si vedono di più in giro. E lo stesso vale per la scrittura.

Che musica ascolti? Qual è per te “L’album”?
Non ce l’ho, l’album. Sono uno che va a momenti. Negli anni ho consumato dischi di De Andrè come dei Nirvana, dei C.S.I. come dei Depeche Mode, dei Radiohead come di Piero Ciampi. E fai conto che ancora adesso ogni tanto riascolto i Bluvertigo, per dire.

Se guardo al vostro catalogo trovo alcuni degli scrittori italiani più interessanti, penso (tra gli altri) a Merico, Saporito, Liberale, Domenichini, Ronco, Palazzolo, Naspini e il nuovissimo romanzo di Luigi Romolo Carrino, perché sono così difficili da promuovere e, spesso, da trovare in libreria (manco fossero libri di poesia)?
Anche questa è una risposta difficile da dare in breve. Partiamo dalle librerie, cioè da questioni più oggettive. C’è un lato tecnico che andrebbe spiegato meglio di come possa fare io qui, almeno a chi non conosce il sistema distributivo. Diciamo solo che i soggetti coinvolti (ovvero i distributori, i promotori e i librai), fino a pochi anni fa autonomi, sono oggi per lo più di proprietà dei pochissimi grandi editori italiani. Le conseguenze sono intuibili: è come se pian piano tutti i negozi di alimentari e supermercati fossero sostituiti da grandi ipermercati della Barilla, mettiamo, e voi foste produttori di un’altra marca di pasta. A questo si aggiunge il fenomeno stesso delle grandi librerie di catena, dove al posto di librai informati e competenti, a volte ci sono ragazzi sottopagati che parlano come commessi di una boutique («Quest’anno si porta molto il romanzo erotico»). Quanto alla promozione, il discorso è un altro ancora, e anche questo difficile da riassumere. Ma di sicuro posso dire che molti autori meritevoli vengono ignorati dalla critica e dai premi letterari per ragioni stupide come il fatto di non avere amici influenti. D’altra parte, a sfogliare certe pagine culturali, a volte sembra di leggere quella specie di rivista di Trenitalia che parla sempre benissimo dei treni. Non so se mi spiego.

La prossima volta o io a Bologna o tu a Milano ci si becca a cena, perché tutto ‘sto on-line alla lunga stanca, ok?
Contaci, e con menù rigorosamente campano, eh, mica cotolette e tortellini.


(c) Gianni Montieri

14/06/12

Editoria digitale, ePop, Tanatosi | Un'intervista di Massimo Maugeri ad Antonio Paolacci




[da Letteratitudine News - 13 giugno 2012]

- Caro Antonio, parlaci degli obiettivi di ePop, la nuova collana di Perdisa Pop…
La collana ha tre caratteristiche precise: la brevità dei testi, il prezzo molto basso e il formato esclusivamente digitale. Visto quello che è successo negli ultimi anni, non potevamo non pensare agli ebook: il libro italiano è sempre più penalizzato da un sistema di distribuzione, promozione e vendita ormai gestito dai grandi gruppi editoriali. È sufficiente pensare che hanno comprato tutto (distributori, librerie), per non dire che i loro sono gli unici libri, di fatto, di cui parla la tivù, presentandoli alla maggioranza della gente come il meglio che si possa trovare in libreria. Per un editore che propone cose diverse dalle più commerciali è molto dura far notare un proprio libro: tutto il sistema tradizionale è in sostanza nelle mani di persone che si occupano di pubblicità e marketing, persone che ignorano il valore culturale del libro e lo trattano come un prodotto da vendere, come scarpe alla moda o saponette. Ma i lettori che oggi deridono le classifiche non mancano: sono quelli delusi, stanchi di spendere quindici o venti euro per romanzi mediocri o perfino stupidi. Non c’è da biasimarli, se non si fidano più, se preferiscono non seguire l’editoria italiana in questo livellamento verso il basso. È a loro che si rivolge la collana, offrendo libri molto economici e facilmente reperibili: gli ebook ci consentono di proporre ai lettori delle alternative immediatamente disponibili e al prezzo di un periodico da edicola. Così il singolo lettore può “assaggiare” cose diverse, conoscere scrittori italiani che potrebbero piacergli molto, anche più di quelli che Fazio promuove in tivù, per intenderci.

- Cosa pensi del rapporto tra e-book e pirateria?
Ho l’impressione che se ne parli un po’ per mancanza di argomenti, perché si pensa a quanto è già successo alla musica o al cinema. Ma tra sistemi di protezione dei file e scarsa qualità dei testi piratati, il fenomeno non sembra preoccupante. In ogni caso, al momento l’editoria ha problemi molto più seri da affrontare, legati soprattutto a quanto dicevo prima.

- Ammesso che esista un pregiudizio sulla pubblicazione e sulla lettura di libri elettronici, secondo te – tale pregiudizio – è più presente tra gli scrittori o tra i lettori?
Il pregiudizio è diffuso ovunque. Siamo un po’ tutti cresciuti con l’idea che il libro tradizionale sia in qualche modo sacro e venerabile come oggetto in sé, per cui il digitale ci piace poco. Se però pensiamo solo alla scrittura e alla lettura, questa ostilità dimostra quanto si sia legati alla forma più che alla sostanza. C’è chi dice che il digitale produrrebbe un impoverimento culturale, impedirebbe l’approfondimento, ridurrebbe le possibilità di lettura. È evidente che chi suppone questo non conosce l’oggetto di cui parla. La tecnologia consente esattamente l’opposto: maggiore comodità di lettura, maggiori approfondimenti, possibilità di leggere e portarsi dietro più libri contemporaneamente. Dobbiamo conoscere la realtà, perché potrebbe perfino piacerci: per esempio i dati statistici parlano di un forte aumento delle ore di lettura tra le persone che acquistano gli ebook. Chiaro che i problemi veri sono altrove: con una effettiva rivoluzione di questo genere, per esempio, il sistema di realizzazione e vendita dei libri cambia radicalmente, rendendo inutile il lavoro di molte persone. Questo è vero, però non si può evitare la realtà mentendo alla gente o battendo i piedi: bisogna prendere atto dei cambiamenti, sapere di cosa si parla, e ragionare di conseguenza.

- Non temi che una collana che accolga solo e-book (la cui pubblicazione non comporta rischi di stampa e distribuzione), data l’ancora scarsa diffusione dei libri elettronici, possa essere considerata come una “collana di serie B”?
Non lo temo, caro Massimo: ne sono certo. Ma ne ero certo fin da quando ho avuto l’idea. Per questo ho voluto che il primo titolo fosse mio: per mostrare che credo nel progetto anche come autore. Gli ePop sono comunque libri Perdisa Pop, cioè hanno alle spalle la stessa linea editoriale dei nostri cartacei, con la particolarità di poter arrivare ai lettori in modo molto più semplice. Poi è vero che i rischi per l’editore sono ridotti, ma relativamente, perché in realtà il sistema è analogo a quello dei cartacei: esistono anche qui un distributore e una libreria (online) che trattengono una percentuale sui libri venduti, e anche qui esistono costi di realizzazione che – quando se ne cura la qualità – sono maggiori di quanto si creda. Ed esiste anche un’IVA sugli ebook molto più alta che sui cartacei. A conti fatti, chi risparmia davvero è il lettore: le spese minori sono il motivo per cui i nostri ebook possono costare così poco a chi li acquista, ma non incrementano i guadagni dell’editore, che a parità di copie vendute incassa la stessa cifra. Insomma, so che pensare male delle case editrici è sempre facile, però esistono editori ed editori. E, per quelli che cercano di tenere alto lo standard delle proprie pubblicazioni, lo scopo non è trovare modi mefistofelici per arricchirsi, l’obiettivo è piuttosto sopravvivere, e sopravvivendo far esistere libri che sarebbe un peccato perdere.

- Volendo tracciare un bilancio sulla casa editrice, da quando ne hai assunto la direzione editoriale a oggi, tenuto conto del periodo di crisi generale, che valutazione faresti?
Sarei più che soddisfatto. Il condizionale è dovuto appunto al momento difficile, vale a dire a una difficoltà economica generale che si unisce ai problemi puramente editoriali che sappiamo. Per l’editoria italiana non è mai stata così dura, e tutto può accadere. Ma se, come dicevo, la sfida di oggi è riuscire a sopravvivere, Perdisa Pop la sta vincendo più che dignitosamente: senza attuare mosse commerciali, senza modificare la propria linea e le proprie idee, senza raccattare soldi con pubblicazioni a pagamento o operazioni bieche. La stima per Perdisa Pop è cresciuta di anno in anno, e oggi qualcuno lo definisce un marchio “già cult”: chi lo conosce sa cosa offre, sa che abbiamo lanciato autori e idee di scrittura, e continua a seguirci. Abbiamo anche ridotto drasticamente le uscite annuali, il che avrebbe potuto penalizzarci facendoci perdere visibilità, invece il nostro pubblico è addirittura in aumento.

- Parliamo del tuo nuovo racconto, che apre la collana ePop. Il titolo è Tanatosi. Come nasce? Da quale idea o fonte di ispirazione?
È un lavoro a cui tengo molto. La brevità e il tipo di pubblicazione hanno indotto alcuni a credere il contrario: al mio posto, altri avrebbero dato un lavoro minore a questa collana così sperimentale, per cui era forse lecito immaginare che potessi farlo anche io. Invece lo considero uno dei miei testi migliori. È nato da riflessioni e letture diverse che mi hanno accompagnato per anni, e mi dà la sensazione di aver centrato il punto, di aver detto esattamente ciò che volevo dire. In qualche modo racconta i nostri dubbi attuali e ha il sapore di un apologo: la storia meno realistica che io abbia scritto, eppure parla di noi, del nostro tempo, del senso che diamo ai gesti quotidiani in un momento storico di confusione e incertezze profonde.

- In questo racconto tratti anche del rapporto padre-figlio. Se ne parla tantissimo nella narrativa di questi ultimi anni. Molto più che in passato. Per quale ragione, a tuo avviso?
Il fatto è che viviamo in un’epoca bizzarra. Il mondo è cambiato tanto confusamente e velocemente che facciamo fatica anche ad accorgercene. La situazione economica, l’incidenza della cultura, il metodo dell’informazione: è tutto diverso. Lavoro, trasporti, politica, comunicazione, vita quotidiana: i nostri genitori pensavano e progettavano il futuro secondo schemi mentali che per noi sono ormai obsoleti. Il che ci fa paura e ci spiazza. E, come in ogni epoca, la narrativa ha i suoi automatismi: la più banale si limita a creare semplici meccanismi di immedesimazione (quindi oggi racconta scontri generazionali, problemi legati alle idee diverse di padri e figli, commoventi riconciliazioni con i genitori). Poi esiste la letteratura che non parla solo ai contemporanei, quella che durerà, quella per la quale un rapporto tra padri e figli diventa simbolico, allegorico, molto più potente. E allora ecco che McCarthy scrive La strada, per esempio, dove non a caso i protagonisti sono un padre e un figlio. Una storia come quella può mettere in scena rappresentazioni del passato e immagini del futuro con un respiro spaventosamente ampio, può farci riflettere su chi siamo stati e su cosa siamo diventati, su quale sia la nostra vera eredità culturale e, soprattutto, su quanto ci interessi conservarla.