09/08/10

Intervista per Libriconsigliati.it

Da Libriconsigliati.it:
La lettura di Salto d’ottava, di Antonio Paolacci, recensito sulle nostre pagine qualche giorno fa, ci ha convinto della necessità di cercare un momento di dialogo con l’autore di questo ottimo romanzo, edito da Perdisa Pop. Di seguito, l’intervista in esclusiva per i lettori di Libri Consigliati.



Diamo il benvenuto sulle nostre pagine ad Antonio Paolacci, giovane autore che abbiamo particolarmente apprezzato in occasione dell’uscita del suo secondo romanzo, Salto d’ottava, edito da Perdisa Pop nella collana Babele Suite. Come ci si trova, Antonio, nella duplice veste di collaboratore editoriale e scrittore?
È la domanda che mi hanno fatto più spesso, questa, e adesso mi accorgo che in pochi anni la mia risposta è cambiata. All’inizio parlavo di difficoltà, di fatica. Oggi dico: bene, ci si trova bene. Scrivo libri, e per guadagnare il pane mi occupo di libri. Non è poi così male.

Com’è maturata in te la visione che ha portato alla stesura di Salto d’ottava?
Paolacci Vi tocca una risposta banale: vivendo. Non c’è altro modo per scrivere libri. Incontro persone, parole, immagini che mi colpiscono. Li incontro nella realtà e li metto insieme usando fantasia, logica, desiderio.

Matteo (nome piuttosto evocativo) si aggira come un cane fiutando l’altra figura di ragazzo immobile, il tuo “fantoccio” attorno al quale ruota il senso ultimo della tua riflessione. Credi sia tutta qui, in quest’immagine poderosa e devastante, la forza del tuo romanzo?
Ci sono libri perfettamente in grado di offrire cadaveri più intriganti, più misteriosi, più rassicuranti del mio. Per farlo li svuotano, li alleggeriscono, divertono il lettore falsificando la realtà. Quel fantoccio, quel cadavere di adolescente, è altro. È un’immagine nitida, che non serve spiegare. È al centro della storia e la crea, in più di un senso.

Il Rottame, collocazione post decadente, assurge a tuo parere al ruolo di protagonista occulto? La tua scrittura appare fortemente influenzata dai tempi, dai modi della cinematografia: credi questa sia l’unica possibile forma di veicolazione per le tue parole?
La narrativa contemporanea è costretta a fare i conti con il linguaggio cinematografico, sempre, anche quando se ne discosta. Io non faccio eccezione, il cinema è alla base della mia formazione e dei miei studi. Quel linguaggio lo conosco, mi appartiene, lo esploro e spesso lo uso. Ma è anche vero che quando vorrò fare cinema, proverò a fare cinema. Per ora scrivo libri: la risposta alla tua domanda è “no”.

Tu lavori come consulente al fianco di Luigi Bernardi (figura di rilievo nella storia editoriale del nostro Paese) e hai, sostanzialmente, una formazione da redattore editoriale. La scrittura è stata per te una scoperta a posteriori o (come in molti casi accade al giorno d’oggi) è una passione che ti accompagna da sempre?
Per scrivere sul serio ho aspettato di crescere, di essere pronto. La voglia di farlo risale almeno all’adolescenza, ma la decisione l’ho presa pochi anni fa. È andata così: dopo la laurea collaboravo con l’università occupandomi di cinema e psicanalisi. Un pomeriggio me ne sono andato senza salutare e ho deciso di provare a scrivere. Vivevo con una serie di impieghi interinali sottopagati. L’idea di lavorare in editoria è venuta di conseguenza.

Oltre a curare la collana Perdisa Pop, apprendiamo dalla lettura del tuo blog che collabori alla realizzazione della manifestazione sulla narrativa giallo/noir “Lama e Trama”, attiva sin dal 2003, e hai curato una rubrica radiofonica di letteratura per una nota emittente bolognese. Qualche parola sul Paolacci “privato”.
Il Paolacci privato è un tizio strano. Ha fatto un sacco di cose, cambiato strada più volte, allontanato situazioni e persone, preferendone altre. Spesso non lo si capisce.

Per concludere, come è nostra consuetudine, ti chiediamo di soffermarti in una breve disamina dei tuoi riferimenti letterari e di condividere con noi una riflessione in merito al tuo personale rapporto con la scrittura.
Come autore, mi interessa una certa letteratura americana. Ne studio il linguaggio, le tecniche. Mi appartiene più della letteratura di altri paesi, incluso il nostro, anche se detta così è riduttiva: non si può pensare a Carver senza considerare Checov, e non si può prescindere da DeLillo, oggi, come da Dostoevskij, mai. Come lettore, è difficile parlare degli scrittori che ammiro. Sono i grandi scrittori, non serve nemmeno nominarli. È la grande letteratura. Come diceva Foster Wallace, il mondo è pieno di solitudine esistenziale, una solitudine che solo la letteratura può battere e solo ogni tanto. La letteratura può farci sentire meno soli in un modo impossibile ad altre forme d’arte. Questa è la sua marcia in più, rispetto al potere enorme del linguaggio audiovisivo. La letteratura crea una conversazione molto intima, profonda, tra lettore e scrittore. La solitudine si vince incontrandosi lì, da qualche parte, ogni tanto, nella stessa pagina.