03/06/16

Gomorra – Di cosa stiamo parlando?


Ecco una serie televisiva italiana che merita successo e lo ottiene, anche all’estero, ed ecco che qui da noi è subito polemica.

Del resto, qui da noi, è già difficile vederli, i prodotti culturali di qualità. È difficile che esistano, perché i primi a boicottarli sono proprio gli addetti alla cultura, i produttori e gli editori, i critici e gli opinionisti vari, che del proprio lavoro hanno poche idee e perlopiù sbagliate.
Una di queste, per esempio, è che per ottenere successo in Italia si debba avere un nome famoso (Accorsi, Scamarcio, Roberto Vecchioni) che faccia da sponsor e presunto trascinatore dell’affetto della gente.
Diciamolo subito: credo che questo assunto sbagliato sia anche alla base dell’unico difetto che io vedo in Gomorra – La serie: il fatto, dico, che il progetto ruoti intorno a un nome estraneo ai meriti oggettivi del prodotto (mi riferisco alla sua qualità squisitamente cinematografica), quello di Roberto Saviano.
Ma l’addetto alla cultura qui da noi ragiona così: non fosse esistito il successo del libro e poi il successo televisivo del suo autore, nessuno avrebbe mai prodotto questa serie tv, per quanto ottima. Credetemi, nessuno.

Fissiamo allora un primo punto: credo che in realtà il nome di Saviano danneggi la serie tv.
Questo nome si trascina dietro troppe questioni che si riversano inevitabilmente su un telefilm che – in assenza di Saviano – forse sarebbe stato soltanto considerato e applaudito come un grande prodotto televisivo italiano.
Anche se, in assenza di Saviano, nessuno lo avrebbe prodotto mai.

Ma che Gomorra – La serie sia un lavoro encomiabile dal punto di vista tecnico è un dato oggettivo. Dovremmo anzitutto riconoscerlo e goderne. Dopodiché sarebbe bello poterne trarre una lezione: la lezione che qui da noi nessuno impara mai: il fatto che la qualità paga, anche in assenza di nomi famosi.

Invece, qui da noi, piovono accuse importanti.
La principale è quella che considera il telefilm addirittura pericoloso, perché racconterebbe una vita criminale troppo affascinante.

L’accusa, diciamolo chiaro, non sta proprio in piedi: Gomorra – La serie appartiene a un genere ben preciso, lo stesso che ci racconta (in modo affascinate) le peripezie dei criminali in certe città degli Stati Uniti o al confine con il Messico. Si tratta di un filone con radici ben salde nella storia, un filone che non ha mai danneggiato nessuno e anzi, ha fatto sempre il contrario.
Il genere, che oggi chiamiamo crime ed è strettamente imparentato con il noir, racconta il male in modo diretto, mostrandone certo anche gli aspetti fascinosi (i quali esistono, naturalmente, nella vita reale), senza favole e senza mistificazioni.
Se parliamo di crime o di noir, parliamo in effetti di generi narrativi che nascono proprio dall’esigenza umana di affrontare l’esistenza del male anzitutto guardandolo in faccia: a questa esigenza possiamo ricondurre la nascita di svariati capolavori della letteratura e dell’arte mondiale. I loro antenati si chiamano Tragedia Greca ed Epica, e sono la base della vostra formazione culturale.

Allora di cosa stiamo parlando?

Se, come scriveva Moresco alcuni anni fa, Baricco è lo scrittore di un paese dove nessuno sa niente, quel Paese si chiama Italia: un posto dove gli abitanti credono che un racconto debba fornire un impianto morale agli spettatori mostrando che i buoni vincono e, ancor prima, che i buoni assoluti esistono, sono sempre buoni e combattono per noi.

Diciamocelo: lo stesso Saviano sembra vittima di questo grosso e maledetto equivoco. Lui per primo sembra caduto nella trappola di chi gli ha imbastito addosso il vestito da eroe, l’abito da protagonista buono di una serie tv italiana, riducendolo a una sorta di personaggio senza sfaccettature e senza macchia.

È possibile? Certo: nel paese dove nessuno sa niente, tutti credono ormai di sapere che quella di Roberto Saviano è una bella storia: la storia di un ragazzo che lotta eroicamente contro il Male, possibilmente al posto nostro, costretto per via del suo irreprensibile eroismo a vivere una vita da recluso.
La sua – ci dicono gli autori – non è tanto scrittura, quanto piuttosto una missione. E la scrittura come missione – sottolineano gli stessi autori – può ferire più della spada eccetera.
Roberto è il nostro eroe, dice anche Fazio. E se lo dice Fazio dev’essere così, ne deduciamo noi: Gomorra non è un libro, non è un film e non è un telefilm, è l’Operazione Antimafia del nostro Eroe.

Uhm.
Di cosa stiamo parlando?
Proviamo a fare un passo indietro e un bel respiro.

I fatti narrati in una fiction appartengono al mondo dell’Immaginario (esistono anche studi psicanalitici molto interessanti in materia). Le vicende raccontate da una serie tv (o da un film, o da un romanzo) rientrano cioè in una sfera precisa della percezione individuale, lontana dal vissuto quotidiano, che chiamiamo Immaginario.
Nell’Immaginario di un paese dove nessuno sa niente, per esempio, accade che i buoni vincano sempre. In questo regno fatato esiste, per dire, un paesino di nome Vigata dove ogni omicidio viene risolto brillantemente da un commissario un po’ burbero ma bravissimo e sempre onesto. A Vigata, nessun delitto sfugge alla giustizia e nessun delinquente resta impunito. A Gubbio nemmeno: anche qui – secondo l’Immaginario del paese dove nessuno sa niente – accadono un sacco di omicidi ogni anno, ma per fortuna c’è un prete in bicicletta che li risolve. Eccetera: questo Immaginario di un paese dove nessuno sa niente viene quotidianamente costruito attraverso serie tv e programmi d’intrattenimento che raccontano storie non solo inventante, ma anche piuttosto incredibili.

Da questa grande macchina comunicativa, che agisce secondo meccanismi precisi creati per indurre emozioni e consenso di pubblico, lo stesso Saviano viene dipinto come un personaggio positivo.
Non dico che non lo sia, intendiamoci, parlo solo della modalità con cui ci viene descritto. La modalità è quella di un racconto fantastico: se Montalbano agisce a Vigata e Don Matteo a Gubbio, Saviano è il nostro eroe nella vita reale. Uno dei nostri eroi, anzi. Uno dei possibili. Potete scegliere gli altri in base alle vostre preferenze: Falcone, Borsellino, Pasolini, da una parte; Salvini o Grillo da altre parti, eccetera: la macchina comunicativa muove i suoi ingranaggi raccontandovi di volta in volta storie di Vostri Difensori Possibili a cui vi chiede di dare o negare il consenso.
Storie dove i buoni combattono per voi.

Ora, in quanto personaggio, Roberto Saviano è un eroe un po’ triste: è diventato famoso, certo, smascherando criminali, e continua a combattere scrivendo libri e articoli di giornale, ma a che prezzo (ci domanda retoricamente la macchina comunicativa).
I nostri eroi antimafia muoiono: saltano in aria, vengono sparati, oppure bruciano la loro giovinezza prigionieri in casa, come Saviano.
Essere loro è brutto, ammettiamolo. Essere eroi non fa per noi. Ma quanto è bello sapere che ci stanno loro, al posto nostro. Dico bene?

Così continuiamo, giorno dopo giorno: la macchina comunicativa ci rassicura l’Immaginario ogni sera: nel paese dove nessuno sa niente, dopo ogni giornata passata in mezzo a ingiustizie, soprusi e angherie, le persone che non sanno niente vedono Saviano applaudito in tv e si convincono che il buono stia combattendo per loro. Di giorno (nella vita reale) continuano a dare soldi alla Camorra, continuano a vedersi speronati da gente senza meriti ma con buoni “amici”, continuano a lasciare i cattivi al posto loro indisturbati. Ma di sera (nel regno dell’Immaginario) vedono Montalbano che ristabilisce la giustizia a Vigata, Don Matteo che lo fa a Gubbio e Saviano che se ne sta occupando nella, ehm, vita reale. E tirano bei sospiri, se non proprio di sollievo, quantomeno di speranza.
E ciò è bene, ci dicono gli autori, perché Don Matteo, Saviano-personaggio e Montalbano rappresentano modelli. La gente (gli abitanti del paese dove nessuno sa niente) li osserva e li imita, comportandosi onestamente come loro. Più o meno. Almeno. Nel senso. Alcuni lo fanno, speriamo.
Mentre, invece, i personaggi di Gomorra sono modelli negativi – dicono sempre costoro. La gente li ammira e li imita, comportandosi disonestamente.
Ecco.
Scusate.
Ma di cosa stiamo parlando?

Che l’Immaginario influisca sulla vita reale è vero. L’Immaginario può certo creare danni seri, ma cerchiamo di capirci: siamo certi che li crei quando racconta la vita dei criminali? Non li crea forse di più laddove invece altera la verità, modificando la percezione della realtà in cui effettivamente viviamo noi?
È vero che alcuni ragazzini imitano i personaggi del telefilm in questione, ma dovremmo davvero considerarlo un fenomeno preoccupante?
Certo che no: io a vent’anni giocavo a imitare le pose di Al Pacino con gli amici, ma certo non ho mai avuto la minima voglia di diventare uno spacciatore cocainomane cubano sparato da raffiche di mitra.
Come ogni altra persona sana di mente, io non ho mai confuso i personaggi immaginari con la vita reale. Scarface mi affascinava e mi riempiva l’Immaginario, ma restava lì, nel mio Immaginario. L’unico desiderio che mi ha fatto venire, se ce n’è uno, è stata una gran voglia di studiare e continuare a guardare ancora dell’altro buon cinema.

Cosa accade, invece, se il racconto che ci fanno ci mente sulla presenza dei buoni e sulla loro immancabile vittoria finale?

Pensare che un telefilm possa indurre i ragazzini di Scampia a entrare nella Camorra è paradossale.
Anzitutto perché non è affatto vero che la serie tv mostri una vita allettante. A me pare piuttosto che tutti i protagonisti facciano una vita che nessuno potrebbe mai desiderare: spendono soldi per cose assurde e inutili e, per fare quei soldi, vivono nella paura, senza fidarsi mai di nessuno, consapevoli di poter morire in modo orribile da un momento all’altro, o di veder morire amici e parenti, figli, mogli, mariti, da un momento all’altro e in modo orribile.
Al sicuro nei nostri salotti, noialtri ci raccontiamo che Scampia è il far west, relegando il problema a una zona geografica precisa, e poi un attimo dopo facciamo il passo successivo, il passo nell'Immaginario di un paese dove nessuno sa niente, quando diciamo: «Quelli là, guarda, quelli sono i cattivi: prendeteli», quando diciamo: «Noi siamo i buoni, noi siamo con Saviano, e dunque, come sempre, armiamoci e partite».

A fronte di visioni favolistiche che ci illudono dell’esistenza di un ordine morale, un ordine che viene sempre ristabilito dai buoni (che siamo noi, anche se noi non facciamo niente), la letteratura ci mostra la realtà cruda e crudele: ci mostra il male per ciò che è, quindi anche con il suo innegabile fascino.
E, quando è buona letteratura, ci obbliga a guardare in faccia anche noi stessi, i nostri impulsi, la nostra percezione falsata del mondo, fino a a sviluppare un ragionamento lucido, onesto, al quale non possiamo più sottrarci.

No, un telefilm non può indurre a entrare nella Camorra, anche solo per il semplice motivo che nella Camorra non si entra né per desiderio né per emulazione.
La Camorra è un mondo con regole proprie, consolidate da una cultura antica e molto circoscritta, nella quale si parla un linguaggio diverso, che non si improvvisa né si prova a imitare.
La Camorra è il Sistema vincente per molta, troppa gente del nostro paese, da anni ormai, e non solo a Napoli, non solo a Scampia. Però no, nella Camorra non si entra: nella Camorra si nasce, per caso, come si nasce in una famiglia, in un paese o in un quartiere.

Al massimo, se siete nati in quella famiglia o paese, dalla Camorra potete lottare per uscire – finché siete giovani, finché siete in tempo – con un atto di volontà che molto spesso richiede un lavoro quotidiano di silenzio, negazione, negoziazione, frustrazione, e che vi costringerà comunque ad accettare di vivere al margine, di vivere in un paese dove ’O Sistema vince e comanda, un paese dove ’O Sistema detta legge e impone l’ingiustizia ogni giorno, a Napoli come a Milano e Roma: un paese dove i più credono che i buoni arriveranno forse un giorno a salvarci: un paese dove nessuno sa niente.
Ecco, di cosa stiamo parlando.