Progetto Santiago, una risposta possibile alle storture del sistema editoriale italiano: ce ne parla Antonio Paolacci, uno dei fondatori.
Da qualche mese ha preso ufficialmente vita Progetto Santiago, un’associazione culturale che raccoglie quasi una trentina di professionisti del mondo editoriale, come gli scrittori e sceneggiatori Andrea Cotti e Giampaolo Simi, l’ex editor di Perdisa Pop Antonio Paolacci, i librai Emiliano Longobardi e Giovanna Zulian, le scrittrici Giulia Fazzi e Paola Ronco e la giornalista Antonella Viale: sono tutti accomunati dal desiderio di scardinare “dal basso” il monopolio dei grossi gruppi editoriali e il predominio delle logiche del marketing sulle scelte di tipo culturale.
“La proposta di Progetto Santiago è di riportare anzitutto l’attenzione sui soggetti realmente interessati all’oggetto libro: lo scrittore e il lettore. […] C’è da riguadagnare la fiducia di un numero impressionante di lettori che hanno smesso di leggere; c’è da ricominciare a pensare ai libri e alle storie, in tutti i modi che ci verranno in mente; c’è da fare di nuovo il nostro mestiere. Siamo scrittori, non mercanzia; siamo editori, non imbonitori; siamo lettori, non spettatori inerti”: presupposti encomiabili che mi hanno spinto a fare qualche domanda ad Antonio Paolacci per saperne di più su questa nuova realtà e scoprire quali siano stati i primi riscontri.
Come si è raccolto intorno all’idea di “fare da soli e unirsi per farlo” il gruppo fondatore di Progetto Santiago?
È cominciata con un giro di telefonate. Ho chiamato anzitutto alcuni scrittori che apprezzo e considero affini o addirittura amici, perché sapevo che l’idea non poteva concretizzarsi se non partendo da persone conosciute e stimate. Parlandone con loro ho capito che era possibile: quasi tutti quelli che chiamavo dicevano sì, facciamolo. Poi si è trattato di confrontare le idee e mettere insieme le regole interne che permettessero di procedere seriamente e un passo alla volta. Queste regole contribuiscono anche a tenere unito il gruppo, perché tra l’altro consentono a ogni membro di conservare la propria autonomia.
Tra le ambizioni dell’associazione c’è anche quella di dare vita a una casa editrice, la Santiago Edizioni: ci sono sviluppi in questa direzione?
Potremmo dire che la Santiago Edizioni esiste già, se consideriamo che il lavoro è già iniziato. Se ancora non abbiamo proposto libri è perché abbiamo cominciato a vagliare i primi testi a fine ottobre e, come sai, servono mesi per arrivare dalla lettura dei manoscritti a un piano editoriale. Quando avremo chiuso questa fase, proporremo i nostri primi titoli ai lettori e vedremo se e in che modo potrà funzionare. Nel frattempo siamo impegnati a farci conoscere e a sondare le reazioni.
In che modo intendete concretamente sottrarvi alle leggi del mercato e finanziare le vostre attività e le eventuali future pubblicazioni?
Alle leggi del mercato non ci si sottrae. Il punto è casomai un altro: siamo sicuri che le leggi che governano l’attuale mercato editoriale siano sensate? È lecito per esempio dire che l’offerta attuale è imposta dal mercato, se poi questo mercato non è per niente redditizio? A eccezione del solito paio di bestseller di ogni anno, i libri non si vendono, gli editori falliscono, i librai chiudono, gli scrittori sono demotivati, i lettori si riducono e sono sempre più insoddisfatti. Se partiamo dal presupposto che l’editoria è un mercato, qualcosa non quadra nel rapporto tra la domanda e l’offerta. Per questo noi parliamo di “cambiare le regole del gioco”. In concreto, abbiamo cominciato anzitutto a organizzare una serie di seminari, corsi, laboratori ed eventi: le nostre attività servono a finanziare il progetto, ma nello stesso tempo coinvolgono direttamente i lettori, formano e informano tanto loro quanto gli aspiranti scrittori, creano un pubblico potenziale e spiegano ai lettori cosa sta succedendo all’editoria e alla letteratura.
Quali sono stati i riscontri di addetti ai lavori e comuni lettori dopo i primi mesi? Quanti sono oggi gli iscritti all’associazione?
La risposta è stata immediata e, devo dire, sorprendentemente positiva. Nel giro di appena un paio di giorni dalla messa on-line del progetto abbiamo raggiunto un migliaio di contatti sui social network, senza pubblicità né particolari sforzi, abbiamo visto l’interesse della stampa e ancora adesso riceviamo quotidianamente complimenti e attenzione da semplici lettori che ci scoprono pian piano. Gli attuali iscritti sono perlopiù i partecipanti ai nostri primi corsi. Ma un dato interessante è che alcune persone si associano o fanno piccole donazioni senza avere niente in cambio, il che è un fatto notevole, visto che fino a ora abbiamo soltanto presentato il progetto e siamo ancora all’inizio delle nostre attività. Quanto agli addetti ai lavori, in un paio di mesi di vita siamo arrivati da una ventina a quasi trenta membri. Credo che possiamo crescere ancora, ma ci vuole tempo, anche perché dobbiamo riuscire a vincere la naturale diffidenza degli altri scrittori e degli editori. La qualità del lavoro editoriale oggi si disperde in troppe realtà diverse e in concorrenza tra loro, e un progetto che le unisca potrebbe farla emergere. Solo che editori e scrittori sono abituati a lavorare come hanno sempre fatto e, di conseguenza, credo che per il momento molti ci vedano più come rivali che come possibili interlocutori.
Hai iniziato a pensare alla possibilità di quello che sarebbe diventato il Progetto Santiago nel 2013, da allora la crisi editoriale si è ulteriormente acuita, né si è arrestato l’accentramento della filiera del libro nelle mani di pochi soggetti: ci sono ancora dei margini per sovvertire il sistema?
Il fatto è che più la situazione si aggrava, più Progetto Santiago acquista senso. Nel 2013 sapevo già che le cose sarebbero peggiorate. La tendenza era chiara da anni. Ma qui non si tratta di sovvertire il sistema: pensare di combattere contro un’editoria che possiede tutto, dai distributori alle librerie, e che per altro è strettamente legata a tivù e stampa, sarebbe da ingenui. L’accentramento della filiera, unito alla trasformazione del libro in prodotto per le masse, è un fenomeno che non so fin dove arriverà, non so cioè a cosa porterà un mercato che si regge sulla vendita di pochi mediocri bestseller all’anno, ma so che quello è un altro mercato, destinato a un altro pubblico. Sempre più lettori, oggi, comprano libri su internet, diffidano dei consigli di lettura dati dalla tivù e non mettono quasi più piede in libreria. Trovano e comprano i libri aggirando il sistema, che li ha delusi. Noi dovremmo rivolgerci a loro, perché sono loro i nostri possibili lettori. Più che sovvertire il sistema, insomma, credo che dovremmo semplicemente uscirne.