Che m'importa la gloria | Racconto



A quarant’anni guardando la tv a un certo punto ho realizzato di essere uno scrittore fallito. Non ci avevo mai pensato. La notizia me la sono data all’improvviso da solo ed era del tutto inaspettata. Ero uno scrittore fallito pur essendo ancora piuttosto giovane. Mi sono alzato dal divano e ho spento la tv. Non mi andava di essere uno scrittore ancora piuttosto giovane ma fallito a tutti gli effetti. Così ho iniziato a pensare a una strategia per cavarmi fuori da questa condizione avvilente e demodé. Sono andato alla scrivania e ho buttato giù un elenco doppio, separando con una riga verticale pregi e difetti dei libri che avevo scritto. A quanto pareva, non c’era nulla che giustificasse il fallimento: erano tristemente dei buoni libri, maledizione. Il che mi incagliava. Voglio dire, se scrivere buoni libri mi portava al fallimento, che altro potevo fare? Mi sono guardato allo specchio: sotto sotto la cosa mi rodeva ma non lo davo a vedere. Potevo quindi inventarmi ancora dei modi per de-fallire. Ho cominciato quel giorno e a sessant’anni compiuti eccomi qui, ancora occupato a non fallire. Lo scorso anno ho pubblicato il mio ventottesimo libro di merda. Viaggio a una media di uno virgola quattro romanzi l’anno per non sparire dalla scena e dare così l’idea di essere un fallito, ma non ho più il tempo per scrivere bene, dato che c’è questa priorità di evitare il fallimento e, diamine, anche la mia giornata è fatta come la vostra di ventiquattr’ore. Scrivo ogni nuovo libro di merda in circa sei giorni, ma va precisato che i ringraziamenti mi occupano due settimane almeno, per dire. (Con i ringraziamenti va così: rischi sempre di dimenticare un nome che potrebbe aiutarti a non fallire oppure di ringraziare qualcuno che non conta niente. E io sono un tipo lento: due settimane di aggiungi-il-nuovo-nome-e-togli-quell’altro-ché-è-un-fallito mi servono sempre tutte, anche perché i nomi del momento cambiano prima che tu riesca a dire grazie.) A parte scrivere i ringraziamenti, quella che mi piacerebbe definire la Mia Arte consiste nel girare per l’Italia e incontrare carissimi amici di cui ora non ricordo il nome. L’apice della soddisfazione lo tocco quando, ospite di qualche festival, alloggio in alberghi a cinque stelle dove i portieri mi attribuiscono mediocrità letteraria dandomi del tu, giacché non mi hanno mai sentito nominare e il soggiorno in albergo lo paga il festival tanto a me quanto a diverse decine di altri scrittori che partecipano a quel festival per non fallire. In questi raduni letterari, negli anni, sono apparso in foto accanto a gente vestita da: astronauta, pellerossa, soldato della Legione Straniera, Dart Fener ovvero Darth Vader, matto in camicia di forza, Sherlock Holmes, gangster della Chicago anni Trenta, legionario romano con orologio da polso, Jack the Ripper, alieno di razza Alfa detto anche Reticuliano. Sono inoltre in giuria per un premio letterario assegnato ogni anno a una nuova ragazzina di venticinque barra ventisei anni che esordisce rigorosamente con un romanzo nel quale ogni battuta di ogni personaggio in ogni dialogo si chiude con (uno o più) punti esclamativi. Il pane è il mio bastone, la gloria la carota, e viceversa.