21/06/11

Antonio Paolacci al timone di Perdisa Pop tra la buona scrittura e il futuro dell’editoria






- Partirei subito col chiederle cosa ne pensa dei nuovi supporti editoriali: mi riferisco ai lettori elettronici di ebook e agli ebook stessi? Avete intenzione di investire in tal senso?

Lo abbiamo già fatto. Siamo stati tra i primi in Italia. Molti titoli del nostro catalogo sono già disponibili anche in formato elettronico, altri ne arriveranno. Si possono acquistare sui principali siti che forniscono il servizio.

- Quali sono le sue idee, la sua linea editoriale?
Fin da quando è nato, il marchio Perdisa Pop propone storie forti, non consolatorie, non fasulle. Quello che comunque più ci interessa è la qualità della scrittura.

- Togliamoci subito la fatica: quale tipo di insegnamento le ha lasciato Luigi Bernardi?
Ho lavorato con lui per anni e non saprei sintetizzare in poche righe questa esperienza lunga e importante. Bernardi mi ha permesso di portare avanti le mie idee, anzitutto. Ha creduto nella mia scrittura. Mi ha insegnato molto con la sua. E continua a farlo.

- Cosa pensa delle community di lettori online, del modo di diffondere la cultura usando metodi diversi affiancati gli uni agli altri?
Internet è uno strumento indispensabile per gli editori come noi. Va anche detto che però non basta. La rete è una piazza enorme che può contenere di tutto. Si incontrano voci brillanti, ma anche superficialità, emozioni personali oppure mode che appena nate sono già noiose. Per non parlare dei gruppi di amici che si scambiano favori o degli scrittori che si elogiano l’unl’altro per pura cortesia. Il problema principale, per chi cerca consigli di lettura, è che oggi in Italia scarseggia la vera critica letteraria. Parlo di una conoscenza, una competenza libera e in grado di riconoscere la qualità senza pregiudizi.

- Vorremmo sapere come intende il rapporto con gli autori e dato il grosso problema dell’imporsi nel vasto mondo editoriale, come pensa di far sì che Perdisa Pop raggiunga il maggior numero di lettori?
Non si tratta di raggiungere il maggior numero possibile di lettori, ma di raggiungere i più svegli. Per vendere a chiunque, anche a chi non sarebbe interessato ai libri, gli editori le provano tutte: copertine assurde, storie per sempliciotti, prodotti seriali, campagne di vario genere, nuove correnti improvvisate; operazioni rivolte a un consumatore da incantare. Raggiungere i lettori in un contesto simile è la vera sfida, ma se il marchio Perdisa Pop si è fatto apprezzare è anche perché non ha mai accettato questa logica. Il mio lavoro non è vendere a chiunque, ma offrire buoni libri a chi cerca buoni libri.

- Cosa pensa che distingua Perdisa Pop da ogni altro editore? Qual è il suo atto di libertà rispetto al contesto editoriale attuale?
Siccome i lettori sono davvero pochi, rispetto agli spettatori televisivi, l’editoria italiana sembra aver deciso di trasformarsi in una forma di intrattenimento. Certe volte, quando giro in libreria, mi sembra di fare zapping in tivù. Si direbbe che al momento gli editori siano iprimi a non credere nella buona scrittura. Il che è tragico, oltre che paradossale. In un sistema che punta sui libri scritti da comici, calciatori, o in generale sulle facce note grazie al piccolo schermo, la prima cosa da fare è proporre letteratura.