15/01/14

L'ultimo libro di Valter Binaghi

Pubblico anche qui la mia nota introduttiva al romanzo Nome al tavolo Blackjack dell'amico Valter Binaghi, scomparso nel luglio del 2013.

Il romanzo che avete tra le mani è l’ultimo di Valter Binaghi. All’inizio dell’estate del 2013 fu lui stesso a dirmelo al telefono: «Questo sarà il mio ultimo libro». Era il suo modo di comunicarmi quanto si fosse aggravato.
Avevamo da tempo fissato l’uscita in autunno. Avremmo dovuto lavorarci in estate, ma in realtà lo stavamo facendo dall’inizio dell’anno, sempre al telefono: Valter mi chiamava per chiedermi opinioni su possibili modifiche e ogni volta ribadiva che durante l’editing avrei dovuto essere inflessibile, senza limitarmi nelle critiche e nei suggerimenti. Non che fosse davvero perplesso. Gli piaceva discuterne e confrontarsi con me, ma secondo lui il romanzo era finito.
La notizia della sua morte mi arrivò poche settimane dopo quella telefonata. Era il 12 luglio del 2013.

Valter Binaghi è stato uno dei primi autori che ho conosciuto quando ho iniziato a occuparmi di scrittura. Tra i primi titoli scelti da Luigi Bernardi per Perdisa Pop c’erano il mio romanzo d’esordio e il suo Devoti a Babele. È così che ci siamo incontrati: leggendoci a vicenda e a distanza. Dopodiché ci siamo cercati.
Era la scrittura che ci aveva fatto incontrare. Non ci frequentavamo come fanno di solito gli amici, né parlavamo granché di questioni private. Eravamo però uniti da una stima reciproca mai sporcata da rivalità o pensieri nascosti. Cosa che, in un mondo di squali come quello dell’editoria, per me era puro ossigeno. Cominciammo a fare lunghe chiacchierate al telefono già prima che io diventassi suo editor. Parlavamo di letteratura, ci sfogavamo sullo stato dell’editoria italiana e spesso, alla fine, lui mi salutava con un serissimo «Ciao, socio».

Il 12 luglio del 2013 ho perso un amico.
Raccogliere le forze per l’editing definitivo del suo ultimo libro non è stato facile. Quando ci sono riuscito, ho verificato quanto già sapevo, ovvero che il testo meritava di non essere toccato: quello che leggerete è il romanzo che l’autore voleva, senza nessuna modifica.
Per scriverlo, Binaghi ha collaborato con un vero giocatore d’azzardo professionista, che chiedendo di restare anonimo gli ha fornito informazioni tecniche, e forse alcuni aneddoti rientrati in qualche forma nella trama. La descrizione del mondo del gioco è perciò molto attendibile e interessante di per sé, ma Binaghi riesce a rispettarla tanto quanto a piegarla alle proprie esigenze di narratore.

Valter aveva la voce del bluesman e l’immaginazione limpida dell’artista, ma era anche un insegnante e un uomo capace di mostrarsi serio e riflessivo. La sua scrittura è in equilibrio costante tra cuore e cervello, sempre attenta alla musicalità e al ritmo, ma mai paga della sola qualità formale.
Ogni tanto mi diceva che avrebbe voluto scrivere libri più facili da vendere, poi rideva e precisava: «Tanto non ce la faccio, a non metterci comunque la mia scrittura».
In realtà Binaghi era un maestro nell’usare i generi letterari per esprimere se stesso. Se guardava al thriller, ne reiterava la struttura, ne rispettava la sintassi e le atmosfere, ma poi sapeva andare oltre ogni convenzione.

Così fa qui, in questo romanzo che ha tutti gli ingredienti del thriller, con splendide virate verso il noir e alcune strizzate d’occhio al giallo più classico, ma che è anche una lezione di vita e di scrittura.
Nelle pagine che seguono incontrerete un protagonista perfetto per un thriller: un giocatore d’azzardo professionista che si ritrova a investigare su un omicidio e lo fa a suo modo: giocando – appunto – con il rischio; e incontrerete una donna bellissima, pronta a trainare gli eventi e a dare fiato a una storia d’amore; e poi criminali, brutti ceffi, giri d’affari loschi; e il commissario Leonetti, che Binaghi fa rivivere qui come per mascherarsi un attimo da vero giallista; per non parlare dell’omicidio con tanto di carta da gioco accanto al cadavere: più che in un genere letterario, siamo nel regno delle citazioni. Ma non solo. Perché il gioco d’azzardo nelle mani di Binaghi non poteva restare semplice ambientazione: è un mezzo, potente come un’allegoria, un modo per disegnare una società e i suoi individui, per riflettere sulle nostre scelte passate e future.
«Barare è lavoro», dice a un certo punto Blackjack, il giocatore: «Solo il rischio è libertà».