14/06/12

Editoria digitale, ePop, Tanatosi | Un'intervista di Massimo Maugeri ad Antonio Paolacci




[da Letteratitudine News - 13 giugno 2012]

- Caro Antonio, parlaci degli obiettivi di ePop, la nuova collana di Perdisa Pop…
La collana ha tre caratteristiche precise: la brevità dei testi, il prezzo molto basso e il formato esclusivamente digitale. Visto quello che è successo negli ultimi anni, non potevamo non pensare agli ebook: il libro italiano è sempre più penalizzato da un sistema di distribuzione, promozione e vendita ormai gestito dai grandi gruppi editoriali. È sufficiente pensare che hanno comprato tutto (distributori, librerie), per non dire che i loro sono gli unici libri, di fatto, di cui parla la tivù, presentandoli alla maggioranza della gente come il meglio che si possa trovare in libreria. Per un editore che propone cose diverse dalle più commerciali è molto dura far notare un proprio libro: tutto il sistema tradizionale è in sostanza nelle mani di persone che si occupano di pubblicità e marketing, persone che ignorano il valore culturale del libro e lo trattano come un prodotto da vendere, come scarpe alla moda o saponette. Ma i lettori che oggi deridono le classifiche non mancano: sono quelli delusi, stanchi di spendere quindici o venti euro per romanzi mediocri o perfino stupidi. Non c’è da biasimarli, se non si fidano più, se preferiscono non seguire l’editoria italiana in questo livellamento verso il basso. È a loro che si rivolge la collana, offrendo libri molto economici e facilmente reperibili: gli ebook ci consentono di proporre ai lettori delle alternative immediatamente disponibili e al prezzo di un periodico da edicola. Così il singolo lettore può “assaggiare” cose diverse, conoscere scrittori italiani che potrebbero piacergli molto, anche più di quelli che Fazio promuove in tivù, per intenderci.

- Cosa pensi del rapporto tra e-book e pirateria?
Ho l’impressione che se ne parli un po’ per mancanza di argomenti, perché si pensa a quanto è già successo alla musica o al cinema. Ma tra sistemi di protezione dei file e scarsa qualità dei testi piratati, il fenomeno non sembra preoccupante. In ogni caso, al momento l’editoria ha problemi molto più seri da affrontare, legati soprattutto a quanto dicevo prima.

- Ammesso che esista un pregiudizio sulla pubblicazione e sulla lettura di libri elettronici, secondo te – tale pregiudizio – è più presente tra gli scrittori o tra i lettori?
Il pregiudizio è diffuso ovunque. Siamo un po’ tutti cresciuti con l’idea che il libro tradizionale sia in qualche modo sacro e venerabile come oggetto in sé, per cui il digitale ci piace poco. Se però pensiamo solo alla scrittura e alla lettura, questa ostilità dimostra quanto si sia legati alla forma più che alla sostanza. C’è chi dice che il digitale produrrebbe un impoverimento culturale, impedirebbe l’approfondimento, ridurrebbe le possibilità di lettura. È evidente che chi suppone questo non conosce l’oggetto di cui parla. La tecnologia consente esattamente l’opposto: maggiore comodità di lettura, maggiori approfondimenti, possibilità di leggere e portarsi dietro più libri contemporaneamente. Dobbiamo conoscere la realtà, perché potrebbe perfino piacerci: per esempio i dati statistici parlano di un forte aumento delle ore di lettura tra le persone che acquistano gli ebook. Chiaro che i problemi veri sono altrove: con una effettiva rivoluzione di questo genere, per esempio, il sistema di realizzazione e vendita dei libri cambia radicalmente, rendendo inutile il lavoro di molte persone. Questo è vero, però non si può evitare la realtà mentendo alla gente o battendo i piedi: bisogna prendere atto dei cambiamenti, sapere di cosa si parla, e ragionare di conseguenza.

- Non temi che una collana che accolga solo e-book (la cui pubblicazione non comporta rischi di stampa e distribuzione), data l’ancora scarsa diffusione dei libri elettronici, possa essere considerata come una “collana di serie B”?
Non lo temo, caro Massimo: ne sono certo. Ma ne ero certo fin da quando ho avuto l’idea. Per questo ho voluto che il primo titolo fosse mio: per mostrare che credo nel progetto anche come autore. Gli ePop sono comunque libri Perdisa Pop, cioè hanno alle spalle la stessa linea editoriale dei nostri cartacei, con la particolarità di poter arrivare ai lettori in modo molto più semplice. Poi è vero che i rischi per l’editore sono ridotti, ma relativamente, perché in realtà il sistema è analogo a quello dei cartacei: esistono anche qui un distributore e una libreria (online) che trattengono una percentuale sui libri venduti, e anche qui esistono costi di realizzazione che – quando se ne cura la qualità – sono maggiori di quanto si creda. Ed esiste anche un’IVA sugli ebook molto più alta che sui cartacei. A conti fatti, chi risparmia davvero è il lettore: le spese minori sono il motivo per cui i nostri ebook possono costare così poco a chi li acquista, ma non incrementano i guadagni dell’editore, che a parità di copie vendute incassa la stessa cifra. Insomma, so che pensare male delle case editrici è sempre facile, però esistono editori ed editori. E, per quelli che cercano di tenere alto lo standard delle proprie pubblicazioni, lo scopo non è trovare modi mefistofelici per arricchirsi, l’obiettivo è piuttosto sopravvivere, e sopravvivendo far esistere libri che sarebbe un peccato perdere.

- Volendo tracciare un bilancio sulla casa editrice, da quando ne hai assunto la direzione editoriale a oggi, tenuto conto del periodo di crisi generale, che valutazione faresti?
Sarei più che soddisfatto. Il condizionale è dovuto appunto al momento difficile, vale a dire a una difficoltà economica generale che si unisce ai problemi puramente editoriali che sappiamo. Per l’editoria italiana non è mai stata così dura, e tutto può accadere. Ma se, come dicevo, la sfida di oggi è riuscire a sopravvivere, Perdisa Pop la sta vincendo più che dignitosamente: senza attuare mosse commerciali, senza modificare la propria linea e le proprie idee, senza raccattare soldi con pubblicazioni a pagamento o operazioni bieche. La stima per Perdisa Pop è cresciuta di anno in anno, e oggi qualcuno lo definisce un marchio “già cult”: chi lo conosce sa cosa offre, sa che abbiamo lanciato autori e idee di scrittura, e continua a seguirci. Abbiamo anche ridotto drasticamente le uscite annuali, il che avrebbe potuto penalizzarci facendoci perdere visibilità, invece il nostro pubblico è addirittura in aumento.

- Parliamo del tuo nuovo racconto, che apre la collana ePop. Il titolo è Tanatosi. Come nasce? Da quale idea o fonte di ispirazione?
È un lavoro a cui tengo molto. La brevità e il tipo di pubblicazione hanno indotto alcuni a credere il contrario: al mio posto, altri avrebbero dato un lavoro minore a questa collana così sperimentale, per cui era forse lecito immaginare che potessi farlo anche io. Invece lo considero uno dei miei testi migliori. È nato da riflessioni e letture diverse che mi hanno accompagnato per anni, e mi dà la sensazione di aver centrato il punto, di aver detto esattamente ciò che volevo dire. In qualche modo racconta i nostri dubbi attuali e ha il sapore di un apologo: la storia meno realistica che io abbia scritto, eppure parla di noi, del nostro tempo, del senso che diamo ai gesti quotidiani in un momento storico di confusione e incertezze profonde.

- In questo racconto tratti anche del rapporto padre-figlio. Se ne parla tantissimo nella narrativa di questi ultimi anni. Molto più che in passato. Per quale ragione, a tuo avviso?
Il fatto è che viviamo in un’epoca bizzarra. Il mondo è cambiato tanto confusamente e velocemente che facciamo fatica anche ad accorgercene. La situazione economica, l’incidenza della cultura, il metodo dell’informazione: è tutto diverso. Lavoro, trasporti, politica, comunicazione, vita quotidiana: i nostri genitori pensavano e progettavano il futuro secondo schemi mentali che per noi sono ormai obsoleti. Il che ci fa paura e ci spiazza. E, come in ogni epoca, la narrativa ha i suoi automatismi: la più banale si limita a creare semplici meccanismi di immedesimazione (quindi oggi racconta scontri generazionali, problemi legati alle idee diverse di padri e figli, commoventi riconciliazioni con i genitori). Poi esiste la letteratura che non parla solo ai contemporanei, quella che durerà, quella per la quale un rapporto tra padri e figli diventa simbolico, allegorico, molto più potente. E allora ecco che McCarthy scrive La strada, per esempio, dove non a caso i protagonisti sono un padre e un figlio. Una storia come quella può mettere in scena rappresentazioni del passato e immagini del futuro con un respiro spaventosamente ampio, può farci riflettere su chi siamo stati e su cosa siamo diventati, su quale sia la nostra vera eredità culturale e, soprattutto, su quanto ci interessi conservarla.