09/01/15

Il male va affrontato


Il male va affrontato, nella sua lurida essenza, senza trasfigurarlo in qualcosa che non è.
Luigi Bernardi, Il male stanco (Zona, 2003)


In questi giorni, io non ho fatto niente. Nel senso che non ho pubblicato immagini di matite spezzate che diventano due matite appuntite, né mi sono unito al coro che ripeteva di essere Charlie, né altro.
Ho fatto quello che ritenevo giusto: ho letto, approfondito, mi sono chiesto molte cose. E ho avuto paura.
Il male fa paura. Abbiamo il diritto di provarla.

La dinamica della nuova comunicazione mi chiedeva di continuo di esprimermi, e nel contempo mi offriva una serie di opinioni preconfezionate da usare a piacimento. Ma io, d’istinto, ho diffidato.

L’odio, così come la voglia di sentirsi paladini di qualcosa, possono diventare merce: nelle redazioni dei giornali – in casi come questo – la prima preoccupazione non è fornire informazioni, ma accontentare il proprio pubblico, offrendogli il prodotto che più lo gratifica.
Per questo “Repubblica” punta sulla solidarietà mentre “Libero” sull’odio: la merce che propongono sono emozioni, selezionate in base al pubblico di riferimento.

Ma, in concreto, a cosa serviva dire Je suis Charlie, in un contesto in cui tutti sono dalla stessa parte, inclusi i musulmani?
Aiutava magari a elaborare il lutto?
No. L’elaborazione del lutto, con una frase così, non viene nemmeno sfiorata: per elaborare un lutto occorre vedere il male, occorre considerare che i morti non torneranno in vita e occorre sentire il dolore della perdita.

Quanto è successo il 7 gennaio a Parigi ha piuttosto spinto la maggioranza verso la negazione, realizzata attraverso un’apparente partecipazione.
La gente ha riempito l’aria di matite colorate e ha “condiviso” immagini di rinascita e trasformazione, come quella di una matita metaforica che una volta spezzata viene temperata per diventare due matite.
Ma questa è negazione, perché la morte non è affatto come una matita a cui si possa fare di nuovo la punta.

Manifestare l’emozione nel momento in cui la si prova non è sempre un gesto innocuo. Non lo è perché dopo, di norma, l’attenzione della maggioranza inizia a spegnersi.
Dopo aver espresso emozioni per uno o due giorni, la tragedia in questione comincia ad affievolirsi nella testa della gente come una fiammella senza ossigeno, e un attimo dopo è spenta: si trasforma in una notizia vecchia, una questione su cui ci siamo già espressi, e siamo stati anche giusti, onesti, eroici.
Come dice il bambino a cui nessuno ha detto la verità, alla fine di La vita è bella, abbiamo vinto noi.