31/08/15

Il mio primo romanzo

Il mio primo romanzo è uscito nel 2007. Si intitola Flemma e sta per uscire di nuovo, ripubblicato da Morellini Editore.
L’avevo scritto tra il 2005 e il 2006 e ci avevo impiegato più di anno, non solo perché era per me un lavoro ambizioso, ma anche perché il lavoro (ambizioso) consisteva in buona parte nella definizione di me stesso come autore, nella ricerca e nel rispetto della mia voce, nella delimitazione di una mia scrittura.
Il romanzo aspirava a un’estetica sociale e letteraria insieme: guardando da una certa distanza i generi tradizionali legati al tema del crimine, della colpa e dell’innocenza, in Flemma ho inseguito il respiro di una generazione che mi pareva muoversi come un adulto divenuto improvvisamente cieco e che non fosse in grado tuttavia di ammetterlo. Si era a metà degli anni Zero, mentre scrivevo, e la situazione scandalosa di dominio da parte della mediocrità non aveva ancora colpito le mie fondamenta: l’operazione aveva senso. Mi pareva che le menti migliori cercassero di venire a capo dei fenomeni culturali e sociali che tormentavano anche me. E lavorai in questa direzione, come facevano loro. Mi dedicai quindi alla disgregazione delle disgregazioni, costruendo un romanzo che Valter Binaghi avrebbe poi definito “una scomposizione cubista della scena del crimine”. Non guardavo alle forme consolidate della narrativa italiana: guardavo oltreoceano, anche convinto del fatto che la mia generazione avesse maggiore dipendenza dalla cultura americana che da quella europea, essendo noi cresciuti più davanti a uno schermo che per strada.
A stesura terminata, lo inviai a una persona soltanto. Lo inviai solo a Luigi Bernardi, che all’epoca era stato il mio insegnante in un paio di corsi di scrittura. Passò un mese, poi due, poi tre, poi Luigi mi mandò un SMS, nel quale diceva: Sei pronto all’esordio. Sei mesi dopo Flemma era in libreria e io iniziavo a diventare l’uomo che sono oggi. Di lì a poco avrei iniziato a lavorare con Luigi ai libri Perdisa Pop, nel giro di qualche anno sarei diventato editor e direttore editoriale.

Intorno al 2008, Luigi mi disse che Flemma aveva diritto a una seconda vita almeno. Mi disse che avrei dovuto prima o poi fare qualcosa per farlo esistere in un nuovo contesto editoriale. Così ho fatto, appena mi è stato possibile, cioè nel 2015, quando scadeva il contratto della sua prima edizione.
Ed eccoci qui: molte cose sono cambiate in me e intorno a me. Il lavoro editoriale mi ha insegnato ciò che sempre insegna l’esperienza, ovvero il disincanto. Ed è forse inutile dirvi che rileggere Flemma oggi vuol dire per me leggere un romanzo che non riscriverei più, non a quel modo. Ma è giusto così: l’autore di quel libro era un tizio di poco più di trent’anni che non sono più io: un autore con un’altra voce e altre idee sulla propria scrittura, ma un autore che aveva cose da dire e che mi sembra ancora capace di dirle in quelle pagine.
Su questo mi sono confrontato con il nuovo editore, come era giusto. La domanda che ci ponevamo riguardava il grado di rispetto che dovevo a quel testo. Da parte mia sapevo di doverne rispettare l’indole, perché il suo bello è anche nascosto nella sua attuale distanza da me. Era un romanzo autentico, molto sentito, carico di partecipazione.
Alla fine ho deciso di fare una sola modifica importante. Ho eliminato in particolare uno dei personaggi, il che non ha quasi cambiato il libro, e per niente le intenzioni che lo animavano, ma ha reso possibile la rimozione di una dose eccessiva di informazioni, tipica dell’esordiente.


La nuova versione è dedicata alla memoria di Luigi Bernardi e Valter Binaghi.